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Nel caso effettivo, argomento di disamina giuridica dell’organo giudiziario del “PalazzaCIOo”, era la fattispecie di un soggetto punito che aveva avuto il subentro, dal Tribunale di Lecce, della disposizione degli arresti domiciliari con quello della custodia carceraria; ciò perché egli non aveva, per l’appunto, rispettato il divieto di avere contatti con altri soggetti non parenti tramite Facebook. Il ragazzo, nel corso della regolare ispezione dei carabinieri, era stato scoperto in flagrante sul web mentre comunicava - con Facebook – proprio con il coimputato della fattispecie di reato di riproduzione, detenzione e spaccio di stupefacenti, illecito per cui era stato sanzionato: avvocato penalista napoli.
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Nel proporre, attraverso i suoi legali, formale ricorso alla Corte di Cassazione, il soggetto incriminato aveva lamentato che, nell’imposizione del citato divieto di avere contatti disposto dalla misura giudiziaria degli arresti domiciliari, non era stato evidenziato che esso comprendeva anche l’impossibilita’ di “comunicare a distanza”; pertanto, secondo lui, egli aveva osservato a tutti gli effetti la legge perché nel provvedimento di limitazione non vi era alcun riferimento diretto alla proibizione di chattare in rete.
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L’organo giudiziario di legittimità, con lo specifico verdetto di interpretazione, non hanno, tuttavia, accolto la sua versione e hanno, allo stesso tempo, respinto il ricorso avanzato, rimarcando nel verdetto stesso come nel caso di “arresti domiciliari” la non possibilità di comunicare comprende anche la rete, e in particolare Facebook. (a tal proposito si consulti anche Cass. Pen. sentenza n. 37151/2010)
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Ma l’utilizzo del pc – e in particolare della rete - non è vietato se alla base vi sono soltanto esigenze di conoscenza o studio da parte della persona sottoposta agli “arresti domiciliari”. Nel caso effettivo l’uso della rete da parte del soggetto (rispetto a cui è stata ristabilita la custodia carceraria), tuttavia, non aveva finalità conoscitive, come abbiamo detto prima, ma era teso a pianificare un’altra fattispecie criminosa, da compiere non appena l’altro complice sarebbe uscito dal carcere.
Partendo da questa premessa, pertanto, la Corte ha legittimamente confermato il verdetto del Tribunale di Lecce. In definitiva, usare il pc è legittimo, ma “chattare” su Facebook no, perché, così, la misura degli arresti domiciliari è sostituita con la pena carceraria.
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Il verdetto è stato ripetuto dalla Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione che doveva pronunciarsi su una fattispecie di reato di evasione relativo ad una coppia cui erano stati concessi gli arresti domiciliari e invece colti in flagrante mentre temporeggiavano nel giardino di casa.
In base all’art. 385 c.p., la casa deve essere vista soltanto come un sito in cui il soggetto passa la propria vita quotidiana e personale lasciando da parte ogni altra zona contigua, come aree condominiali, dipendenze, giardini, atri e zone simili che non ne siano parte necessaria (cass. pen. sez. VI, 3212/2008).
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L’impostazione alla base della norma del codice penale non rispettata deve infatti essere assimilata nell’obbligo per la persona in regime di arresti domiciliari di restare nel posto indicato “in quanto ritenuto adatto al soddisfacimento delle esigenze di cautela e anche a consentire in modo agevole la disposta sorveglianza dell’autorità competente” (cfr Cass. sez. VI, n. 6394/1998).
Con verdetto emanato alla fine del giudizio abbreviato sottoposto alla ricezione della documentazione il Tribunale di Roma disponeva il proscioglimento per non esistenza del fatto E.B. dalla fattispecie di reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari, attribuitogli perché non trovato in casa alle ore 10:50 del 10.8.2005 nel panificio di Roma ove gli era stata concessa l’autorizzazione a svolgere il proprio impiego dalle ore 23:30 alle ore 11:30 tutti i giorni, avendo il gestore della bottega detto agli ufficiali di p .g. proseguenti che il B. recatosi in orario sul luogo di lavoro la sera del passato 9.8.2005, si era dopo poco allontanato su un motorino senza fare più ritorno.
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Il Tribunale autorizzava la liberazione del soggetto incriminato sulla base della ragione che gli agenti di polizia, in coincidenza con la attestata non presenza del soggetto dal luogo di lavoro, non avevano svolto la funzione ispettiva ai fini della verifica della presenza del B. nella propria residenza, per il fatto che - secondo l’organo decisionale - "la licenza all’allontanamento dal domicilio per recarsi a lavoro per uno specifico numero di ore non può essere assimilato all’obbligo di andare a lavorare, per cui vi é, nel caso contrario, il dovere di restare nella propria casa, come disposto dalla decisione giudiziale di imposizione della prescrizione".
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