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Revoca: La reclusione domiciliare è soggetta a revoca: se i comportamenti del soggetto recluso, che infrange le disposizioni o le misure sanzionatorie previste, pare essere inapplicabile alla prosecuzione delle misure dispositive (comma 6); se non sussistono più le condizioni previste dai commi 1 e 1 bis (comma 7); in caso di fuga, in questo caso l’atto di denuncia può produrre la cessazione, ossia è definita in base alle particolari fattispecie (questa specificazione deriva dal verdetto della corte cost. sent.173/97 che ha stabilito la non conformità alla Costituzione del comma 9 nella parte in cui produce automaticamente la sospensione della reclusione domiciliare dal deposito dell’atto di denuncia di evasione) se la misura sanzionatoria per questa fattispecie di reato presume la revoca (commi 8 e 9).

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L'art. 47 ter comma 9 bis predispone che se la misura indicata in merito alle fattispecie del comma 1 bis (se non esistono le condizioni ai fini della custodia) è revocata, la sanzione residua non può derivare da altra disposizione giudiziaria.

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Sarà il senso di adattamento, insito nell’uomo, prima che nelle fattispecie di reato. O magari saranno le innovazioni apportate dai nuovi strumenti, che attraggono molte persone. Dopo il dello stalker messo in carcere in quanto infastidiva costantemente la sua preda con messaggi privati e il caso del ragazzo malvivente che invece ha pubblicato sul web le fotografie del festeggiamento di compleanno senza alcun permesso, i tempi erano giusti affinché la Corte di Cassazione si pronunciasse in merito alla determinazione e limitazione dell’uso legale della rete e di Facebook, almeno per chi è soggetto a misure giudiziarie limitative della libertà personale.

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Ormai obsoleti i tipici mezzi di comunicazione, quali messaggi SMS codificati (sembra che recentemente siano stati inviati perfino durante spettacoli televisivi domenicali) e bigliettini, anche gli odierni malviventi usano spesso gli strumenti informatici di comunicazione e, come tutti noi, ricorrono spesso alla rete e ai social network.

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Per questo, la Corte di Cassazione si é pronunciata in merito all’uso di Facebook da parte dei soggetti per cui i giudici hanno disposto gli arresti domiciliari. Il caso, chiuso il 18 ottobre 2010 dalla Sezione II penale con verdetto nr. 37151, è scaturito dal ricorso del Pubblico Ministero di Roma, al quale il GIP aveva rifiutato la richiesta di modificazione in provvedimento di custodia cautelare in prigione gli arresti domiciliari per due soggetti incriminati che, secondo il Procuratore, non avevano osservato il divieto di comunicare con l’esterno tramite il famosissimo social network.

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La suprema Corte, valutando come conforme alla legge il ricorso, ha posto delle precise limitazioni in merito. Il magistrato per le indagini preliminari nel Tribunale di Roma, con verdetto giurisdizionale in data 10 maggio 2010, aveva rifiutato la richiesta di sostituzione della disposizione degli arresti domiciliari con la custodia carceraria, avanzata dal Pubblico Ministero in forza dell’art. 276 comma I c.p.p. in relazione a due presunti criminali, che non avevano osservato la disposizione a loro diretta ex art. 284 comma II c.p.p. di non avere contatti con persone differenti dai soggetti conviventi.

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Sembrava fuori dubbio per l’ente giudiziario istruttore che i medesimi abitualmente chattassero con i propri amici usando Facebook. Gli arresti domiciliari, inoltre, non possono essere ritenuti alla stregua di una vacanza premio, ma devono avere la loro natura di disposizione cautelare, sebbene più leggera rispetto alla reclusione carceraria.

Generalmente, adottando tale misura, il magistrato dispone che non devono essere intrattenute relazioni con soggetti che non siano parenti o legali del recluso. Nessuna visita a casa, quindi, né telefonate e messaggi con altri individui.

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E sembra non rilevare, nel merito, che l’inosservanza delle disposizioni giudiziarie emesse in regime di concessione della misura ridotta sia utile o meno alla lesione delle esigenze di cautela garantite dalla legge.