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La circostanza attenuante viene connessa a quella di cui all’art. 62, n.6, c.p., e consiste in un atto intenzionale ed efficace, ossia che determina delle conseguenze necessarie per la cancellazione degli esiti negativi del reato, che riguardano l’enorme perdita di energia da parte della polizia per la messa in atto delle ricerche e della cattura della persona evasa.
Per questo non si può attuare la circostanza attenuante qualora vi sia il rientro intenzionale nel luogo stabilito per gli arresti domiciliari, tranne che la persona evasa prese in considerazione la presenza della polizia preposta alla sua vigilanza, consapevole di essere preso, faccia ritorno nella propria abitazione dove poi viene arrestato, in quanto in tal maniere annulla la propria condizione di latitanza, e si può equiparare questa condotta alla costituzione in carcere (Cassazione penale, sez.V, sent.1030 del 8.5.98; sez.VI, sent.3690 del 15.4.93; sez.VI, sent.1458 del 30.10.95, sez.I, sent.5303 del 6.5.98).
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Non vi è nessuna incompatibilità autonoma tra la prosecuzione degli arresti domiciliari e la prescrizione cautelative in carcere, ma compete al tribunale di sorveglianza esaminare l’entità che l’evento-reato imputato alla persona grava sulla permanente adeguatezza della misura alternativa a conseguire le finalità di tutela speciale e reintegro in società, con conseguente illiceità della cancellazione degli arresti domiciliari sulla base del mero sopraggiungere, nel corso dell’applicazione, di una prescrizione di custodia cautelare in carcere
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Normative a cura dell'autore: 1. Le succitate argomentazioni riaprono la questione del rapporto tra modalità cautelari e tipologie differenti da quelle della detenzione, facendo riferimento soprattutto al problema di una loro possibile sussistenza in seno ad un soggetto sottoposto ad una sentenza definitiva (su cui grava- o potrebbe gravare- la misura alternativa) e, contemporaneamente, indagata o imputata per altro evento-reato ( e su tale situazione sussiste una probabile prescrizione di custodia).
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La prima sentenza prescrive la possibilità di una misura alternativa alla persona che per altra ragione abbia conseguito una prescrizione cautelare, mentre la seconda pronuncia prescrive l’attuazione di una possibile custodia cautelare invece un beneficio carcerario è già in corso di applicazione, ed analizza l'entità del titolo cautelare sulle possibilità di presenza della custodia emanata dal tribunale di sorveglianza.
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Le disposizioni della materia giurisprudenziale, ormai assunte dalla Cassazione e a cui sono riconnesse le due sentenze - fanno riferimento al principio di esclusione di qualsiasi tipologia meccanica di rifiuto della misura alternativa in rapporto alla sussistenza di una prescrizione cautelativa connessa alla persona in questione.
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Leading case e in che consiste questo orientamento è costituito dal procedimento chiuso dalla Prima sezione della Corte con sentenza n. 877/93 in data 14.4.93[1], che ha iniziato a stabilire le direttive nella materia, esaminando soprattutto il rapporto tra la tipologia cautelare dell’affido in prova ai servizi sociali e quella personale degli arresti domiciliari.
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In questo caso, il giudice di competenza ha prescritto il principio della possibile sussistenza e dunque della astratta eventualità di contemporanea applicazione delle misure alternative alla detenzione e di quelle cautelative, fondandosi sull'art. 298, comma 2, c.p.p., per il quale la custodia cautelativa non ha alcun annullamento, ma mentre si applica nel caso in cui la pena prescrive una misura alternativa a quella della detenzione
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Pure la Cassazione è orientata in questo senso, per cui considera corretta la simultanea applicazione di una delle forme alternative a quelle di detenzione previste dall'Ordinamento Penitenziario e di una custodia cautelare personale. Sarà poi competenza del giudice stabilire l’effettiva conciliabilità della misura alternativa o di quella cautelativa, considerando la prevalenza della forma cautelare qualora si provi l’esistenza di una condizione di inconciliabilità tra le medesime.
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In questo caso, con una simile pronuncia la Cassazione stabilisce per la prima volta i principi che in seguito costituiranno la base di tutta la programmazione della materia giurisprudenziale seguente, ossia: possibilità, tenendo conto che gli orientamenti dell'art.298, comma 2, c.p.p., che misure cautelari personali e forme alternative a quelle della detenzione siano applicate simultaneamente, ad eccezione che venga accertata in ambito giudiziario la loro conciliabilità effettiva; rilevanza delle forme cautelari, che il giudice deve considerare quando le due forme vengano riconosciute inconciliabili, con la conseguente reiezione per rifiuto della forma alternativa.
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Con ulteriori e successive pronunce, la Corte precisato meglio l’iter logico-giuridico di cui il giudice competente deve tener conto per accertare la reale attuazione di una misura alternativa a quella della detenzione nel caso in cui si è di fronte ad un soggetto che occupa una doppia posizione giuridica.
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Per queste ragioni, la Cassazione ha esaminato la specificità che sussiste tra il principio il cui scopo delle forme alternative rispetto a quelle di detenzione è quello rieducativo e le motivazioni di riduzione delle libertà personale, in merito ai bisogni di cautela come: l’istanza di affido in prova ai servizi sociali avanzata dal soggetto sottoposto ad una procedura di custodia cautelare.