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Escludendo una probabile declaratoria presidenziale (ex art.666 c.p.p.) di inammissibilità della istanza, la Corte stabilisce che il tribunale di sorveglianza ha il dovere di esaminare caso per caso le varie situazioni che gli si sottopongono, soprattutto accertando il carattere dell’altra causa detentiva (ossia quella non definitiva) e quindi verificare, nel dettaglio se i limiti alla libertà come effetto di una misura restrittiva in forza della custodia cautelare siano conciliabili con la misura alternativa e se quest’ultima possa essere concessa per tutte le sentenze definitive in applicazione

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Con la seconda pronuncia sopramenzionata, invece, il giudice deve esaminare (nella diversa fattispecie della presenza di un titolo cautelare in capo al soggetto sotto regime di misura alternativa rispetto a quella detentiva) non soltanto la conciliabilità dei limiti alla libertà del soggetto sotto cautela, ma pure l’efficiente beneficio della penitenza, ossia la natura dell’evento-reato attribuito al soggetto sulla continua idoneità della misura alternativa di essere efficiente come elemento rieducativo.

La Corte ha, quindi, chiarito l’importanza di altre due direttive nella materia in esame: esclusione di qualsiasi meccanismo di automatica chiusura al permesso o al rispetto di una forma alternativa a quella detentiva per l’esistenza in capo alla persona di una forma cautelare personale.

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Il presupposto di questo principio annunciato dalla Corte è l'illegalità di una declaratoria di inammissibilità dichiarata ante iudicium, in base all'art. 666 c.p.p., da parte del Presidente del Tribunale di sorveglianza ; l’autorità giudiziaria della misura alternativa ha l’obbligo di accertare non solo l’effettiva conciliabilità delle procedure di restrizione della misura cautelare con l’indipendenza del soggetto che espia la condanna con una misura alternativa a quella detentiva di natura ordinaria; ma anche, qualora giunga la custodia cautelare rispetto all'applicazione della misura alternativa, l’elemento di negatività che si determina sulla reale validità rieducativa dell’allungamento del beneficio penitenziario per aver commesso un nuovo evento-reato.

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In applicazione del principio sub 3), la Cassazione, tenendo conto della giurisprudenza costante non ha accettato, per il rifiuto dell'affido in prova ai servizi sociali, l'applicazione di un provvedimento applicativo di una custodia cautelare personale, relativa agli eventi-reato commessi prima che è stato accordato il beneficio penitenziario.

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La Corte è arrivata a concludere ciò in quanto solo le condotte messe in atto dopo che è stato concesso il beneficio penitenziario possono pregiudicare il giudizio di permanenza dell’efficienza rieducativa della misura; perché in merito al principio evidenziato si deve solo considerare la conseguente applicazione della forma alternativa rispetto a quella detentiva e della custodia cautelare, dovendo verificare solo la reale conciliabilità tra le due misure

Un ulteriore esame deve essere fatto in base al principio annunciato dalla Cassazione che riguarda il potere-dovere del tribunale di sorveglianza di verificare la conciliabilità tra la misura alternativa e quella cautelativa che si presentano come incombenti.

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Per questi motivi, è necessario distinguere le diverse fattispecie che si presentano: a) situazione della istanza di applicazione di una misura alternativa a quella detentiva da parte di una persona in regime cautelare, ossia che riveste una doppia posizione giuridica (persona con sentenza definitiva e soggetta a misura cautelare personale per altra causa).

In tal caso, spetta al tribunale di sorveglianza verificare la conciliabilità della misura alternativa di cui si fa domanda concessa con il provvedimento cautelare già applicato. La Cassazione, inoltre - precisa che questa verifica si deve effettivamente eseguire, ovvero considerando la fattispecie delle limitazioni relative alla misura alternativa e a quella cautelare, e alla reale conciliabilità tra le due con il giusto rispetto della misura cautelare.

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Qualora si provi un certo livello di inconciliabilità, il primato spetta ai motivi della cautela. Poiché siffatto criterio evidenziato dalla Cassazione è molto labile, viene confermato dal fatto che dalle indagini a livello giurisprudenziale si evidenziano molti dubbi, principalmente in merito alla concessione dell’affido in prova ai servizi sociali per i soggetti che per altro motivo si trovano nella custodia cautelare degli arresti domiciliari.

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Vari provvedimenti, evidenziano una simile eventualità , che al contrario non è accettato in altre prescrizioni , evidenziandone la poca attendibilità - che la sussistenza degli obblighi e delle prescrizioni degli arresti domiciliari non permette al soggetto, semmai sottoposto al simultaneo affido in prova ai servizi sociali, di provare la sua collaborazione e partecipazione alle finalità rieducative della misura alternativa, attraverso il rispetto e la gestione dei limiti di libertà e autonomia sempre maggiori rispetto alla graduale progressione del suo reinserimento all’interno della società.

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Facendo riferimento alla autorizzazione della cosiddetta semilibertà, la Cassazione concorda sul fatto che l’applicazione di un provvedimento di custodia costituisca un elemento negativo a carico di chi ne fa domanda, sia a livello normativo (art.50 L. 354/75) circa la verifica allo scopo della concessione del beneficio – delle migliorie messe in atto dalla persone nel corso dell’intervento e della sussistenza delle condizioni necessarie per poter accordare un giudizio positivo in base al suo reinserimento graduale nella società .

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In base al giudizio di conciliabilità tra la misura cautelare degli arresti domiciliari e quella della detenzione domiciliare, mentre, i fattori comuni, pure se per lo più sono presenti all’interno di una misura reale di riduzioni alla libertà personale a cui viene sottoposta la persona in questione, evidenziati nelle procedure attuate con l’esecuzione della misura, non presentano una uguaglianza delle due condizioni e un’attuazione dell’una o dell’altra in una relazione fruitiva.

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Mentre, i limiti stabiliti a cui è soggetta la persona in questione fanno principalmente riferimento alla misura cautelare e come finalità primaria quella di prevenire gli effettivi rischi sottolineati dalla normativa processuale, come il pericolo di fuga, la reiterazione del reato, la tutela degli elementi di prova; poiché la salvaguardia delle misure di reinserimento nella società viene tenuta in considerazione soltanto per una parte, attraverso la autorizzazioni di cui all'art. 284 c.p.p.; le procedure connesse alla misura detentiva domiciliare, pure se hanno come scopo principale quello di diminuire i rischi sociali dell'istante, hanno, comunque, come fine principale quello della risocializzazione .