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Non vi sono invero incertezze, nelle fattispecie ipotizzate dall’art. 276 cod. proc. pen., sui due più notevoli elementi che sono i criteri basilari ai fini dell’adozione della misura cautelativa: l’autorevolezza degli indizi e la presenza di esigenze cautelari.
In questi rimane un unico e limitato piano riguardante l’esistenza dei criteri di adottabilità di quella specifica misura penale– l’adeguatezza dello stesso - ipotizzando la presenza dei criteri per l’adozione di un provvedimento cautelare.
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E, stiamo attenti, nemmeno è valutata la conformità della misura già analizzata in sede di prima esecuzione dell’ordine giudiziario”. La Cassazione (v. verdetto n. 37151/2010) ha recentemente disposto che il generale onere di “non avere contatti con persone differenti dai familiari coinquilini” è a tutti gli effetti un divieto con solo di parlare con persone non familiari e non coabitanti, ma anche di relazionarsi ad altri individui, dovendosi valutare come ampliata, anche in mancanza di norme giuridiche precise e specifiche, anche al piano comunicativo, sia in forma orale sia per iscritto attraverso la rete.
La Cassazione ha poi chiarito che “L’uso dei siti web non può essere vietato a priori nel caso non vi siano interazioni con altri, in ogni caso, che abbiano avuto luogo, ma abbia solo funzioni di formazione o studio, senza alcun contatto, con il web, con altri individui.
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Le attuali applicazioni tecnologiche ci consentono un agevole scambio di dati anche con metodi differenti dall’interazione orale, attraverso il web, e anche questa diffusione di dati va compresa nel concetto di “comunicazione”, anche se non direttamente interdetta dall’organo giudiziario, dovendo essere compresa nella generale “proibizione di comunicare”, non soltanto il divieto di parlare direttamente, ma anche di avere contatti, con altre applicazioni, comprese quelle telematiche, sia a livello verbale sia per iscritto o con tutte le applicazioni tramite cui il soggetto incriminato può avere contatti con altri (“bigliettini”, azioni, messaggi in televisione anche indiretti, etc.).
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Il dissidio in dottrina ha origine da una misura giudiziaria del Tribunale distrettuale di Milano, che non ha accolto l’appello ex art.310 c.p.p. avanzato da una persona cui era stata applicata la misura, contro la proibizione del G.i.p. sulla domanda di autorizzazione all’esercizio dell’impiego, in base al fatto che lo status di “assoluta miseria” paventato dal richiedente, non poteva essere ritenuto in toto adeguato ai criteri e limitazioni disposti dall’art.284, comma 3, c.p.p., il quale dispone l’autorizzazione ai fini dello svolgimento di un impiego per i soggetti che non hanno altri mezzi per soddisfare le esigenze fondamentali, o si trovino, per l’appunto, in un regime di assoluta miseria.
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Il limite e legittimità del concetto di assoluta miseria infatti, dato il generico valore della norma e l’ampia facoltà decisionale dell’organo giudiziario, sono state un argomento di contesa in diversi verdetti dei giudici di merito e di legittimità, che hanno dunque interpretato tale nozione in differenti modi, tra l’atro ancora oggi mutevoli.
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Prima, dottrina e interpretazione giurisprudenziale avevano evidenziato che le esigenze fondamentali possono essere relative ai bisogni personali a cui l’individuo deve far fronte, pur essendo in regime di arresti domiciliari, per “non andare oltre lo scopo e il peso del provvedimento, nuocendo in maniera rilevante le condizioni di vita della persona stessa” (cfr.TSDFSI, Le misure giudiziarie soggettive di imposizione, Torino, 2000, p.124. Nel diritto un caso tipico è l’autorizzazione del giudice, per chi è sottoposto agli arresti domiciliari, ad allontanarsi dalla propria residenza per recarsi alla messa domenicale, sempre se la misura giudiziaria degli arresti domiciliari può ben disporre limiti ai diritti soggettivi del recluso, ma mai e poi mai cancellarli in toto. Cass.sez.I, 27 luglio 2005, Barbieri).
In definitiva deve essere valutata l’esigenza personale di poter far fronte ai propri bisogni basilari, “in considerazione del suo status economico anche relazionato alla sua condizione precedente all’adozione della misura limitativa della libertà”.
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